Il diabete mellito (DM) è una malattia sociale che colpisce un gran numero di persone di tutte le età con una gravità differente da soggetto a soggetto. L’attività fisica e sportiva è oggi universalmente considerata utile ai fini preventivi, in grado di limitare l’insorgenza e la progressione della malattia e di favorire un migliore controllo dello stato metabolico.
Non bisogna dimenticare che il DM è pur sempre una malattia seria e che, per tale motivo, allenatore ed atleta devono adottare tutte le precauzioni necessarie per rendere la pratica sportiva veramente benefica e priva di rischiLa parola diabete, in campo medico, è associata alla produzione di una gran quantità d’urina (poliura). Essa è utilizzata per descrivere una rara malattia, il diabete insipido, causato dalla
mancanza dell’ormone anitdiuretico(ADH), che ha l’importantissima funzione di facilitare il riassorbimento dell’acqua a livello renale. Anche nel diabete mellito(“dolce”), il malato va incontro a poliura, ma a causa della presenza di zucchero nelle urine provoca quella che è definita diuresi osmotica.
Fisiologia del controllo glucidico
In un individuo normale, la glicemia, il livello di glucosio nel sangue, oscilla tra i 60-75mg/dl al risveglio mattutino e i 130-140 mg/dl dopo i pasti principali. La regolazione è assicurata principalmente da due ormoni, secreti dalle cellule ad attività endocrina presenti nel pancreas: insulina e glucagone.
Oltre a loro entrano in gioco numerosi altri ormoni, quali le catecolamine(noradrenalina ed adrenalina, secrete dalla midollare del surrene e dal sistema nervoso simpatico), il cortisolo (secreto dalla corteccia surrenale), l’ormone della crescita (GH, di origine adenoipofisaria).
La secrezione di tali ormoni è regolata dalla stessa glicemia: quando la glicemia sale, come accade dopo i pasti, aumenta la secrezione di insulina d’insulina e si riduce quella del glucagone, il quale ha una funzione opposta alla prima come gli altri ormoni sopra elencati chiamati ormoni contro insulari.
Sotto lo stimolo insulinico fegato e muscoli, iniziano ad utilizzare glucosio a scopo energetico e7o ad immagazzinarlo sotto forma di glicogeno. Il risultato finale è una riduzione della glicemia. Tutto il contrario avviene a digiuno, quando la glicemia scende ai valori minimi ( a distanza di circa 6 ore dall’ultimo pasto): aumenta la secrezione di glucagone e si riduce quella dell’insulina. Di conseguenza, i muscoli e gli altri tessuti, che dipendono dall’insulina per utilizzare glucosio, modificano il loro metabolismo usando altri substrati a scopo energetico, in particolare acidi grassi ed in minore misura aminoacidi.
Alcuni organi, quali soprattutto il sistema nervoso centrale ed i globuli rossi, sono in grado di utilizzare come nutriente energetico quasi esclusivamente glucosio. In condizioni estreme , quando scarseggiano o sono esaurite le riserve di glicogeno, il fegato può far fronte a tale emergenza grazie d un meccanismo di riserva che prevede la sintesi di nuovo glucosio (gluconeogenesi) partendo da precursori non glucidici come alanina, lattato e glicerolo.
Il principale controllore dell’equilibrio glicemico è proprio il fegato. Ciò in virtù sia della sua posizione anatomica, per la quale riceve dagli organi digestivi tramite la vena porta sangue ricco di nutrienti e degli ormoni pancreatici. Il fegato è in grado di liberare in circolo glucosio da far utilizzare ad altri organi e questa sua funzione è regolata dai livelli ematici d’insulina.
Controllo glucidico durante l’esercizio fisico
In condizioni di riposo il muscolo utilizza a scopo energetico per circa l’85-90% acidi grassi, per il 10% glucosio e per l’ 1-2% aminoacidi. All’inizio di un esercizio fisico, la quota di glucosio utilizzata a livello muscolare aumenta, sia grazie alla scissione del glicogeno muscolare, sia in virtù dell’estrazione del sangue di tale zucchero.
Il fegato, stimolato da più elevati valori di glucagone aumenta la sua produzione di glucosio. Questo complesso meccanismo dipende e si modifica in funzione di alcune importanti variabili legate all’esercizio fisico stesso:
- Intensità: a bassa intensità di lavoro, l’utilizzo di acidi grassi può essere pari all’80% del totale del fabbisogno energetico muscolare. Al crescere dell’intensità, aumenta la quota di glucosio ossidata e si riduce l’utilizzo di lipidi, finché, a livelli superiori alla soglia anaerobica, il muscolo utilizza quasi elusivamente glucosio;
- Durata: nell’esercizio di lunga durata, si ha un progressivo esaurimento dei depositi muscolari ed epatici di glicogeno. In condizioni estreme (per es. maratona), la glicemia può raggiungere valori minimi, fino a causare una vera e propria crisi ipoglicemica. L’esaurimento di riserve di glicogeno impone ai muscoli ad un maggiore ricorso all’ossidazione degli acidi grassi.
- Stato di allenamento: il soggetto allenato compie il medesimo sforzo del sedentario ad una più bassa percentuale del massimo consumo d’ossigeno (VO2max), usando, quindi, una quota maggiore d’acidi grassi e minore di zuccheri. A parità di percentuale raggiunta del VO2max, i muscoli dell’atleta imparano a utilizzare meno carboidrati e più acidi grassi del sedentario. Inoltre il soggetto allenato ha una maggiore sensibilità degli organi periferici all’insulina: per ottenere gli stessi effetti sul controllo glicemico, utilizza quantità minori di tale ormone. E’ ormai dimostrato che l’allenamento, aumenta la concentrazione del GLUT-4, molecola trasportatrice del glucosio dentro le cellule. Nel soggetto sano l’allenamento ha anche numerosi altri effetti metabolici benefici sull’organismo ai fini di prevenire delle temibili complicanze legate alla malattia diabetica:
- riduzione dei livelli nel sangue dei trigliceridi, del colesterolo totale e del colesterolo LDL (“cattivo”), ed aumento del colesterolo HDL (“buono”);
- riduzione del fibrinogeno (proteina che interviene nei fenomeni di trombosi);
- riduzione del tessuto adiposo (soprattutto quello viscerale, più pericoloso per la salute);
- dieta: la “supplementazione” con carboidrati prima dell’attività fisica, meglio se complessi (pane, pasta, patate), migliora la prestazione e riduce il rischio di ipoglicemia quando lo sforzo è d’elevata intensità e lunga durata. Inoltre, nella fase di recupero, i muscoli continuano a captare glucosio dal sangue in quantità elevata per ripristinare le scorte di glicogeno. Tale processo è favorito da un innalzamento dell’insulinemia dall’aumento e della sensibilità periferica all’insulina stessa (la capacità delle cellule di rispondere all’ormone), fenomeno che si manifesta anche dopo una singola seduta d’allenamento. In questa fase , l’organismo stimola maggiormente la sintesi del glicogeno muscolare rispetto a quello epatico: l’assunzione di carboidrati subito dopo lo sforzo favorisce questo processo.
BIBLIOGRAFIA
P. Zeppilli – V. Palmieri: Manuale di Medicina dello Sport. Casa Editrice Scientifica Internazionale, Roma, 2008
S. Busin, A. Gnemmi , N. Nicosia, C. Suardi, S. Zambelli, F. C. Hatfield: Fitness la guida completa. Ed. Club Leonardo 2004.